Nell'autunno
del 1918 nelle valli trentine in generale non mancò un'ombra di preoccupata
attesa per l'ingresso nel paesi delle prime truppe d'occupazione italiane. La
gente avverti che qualcosa di portata storica stava succedendo: il crollo di un
mondo e l'inizio di una nuova avventura.
Significativo, al riguardo, è il
racconto di Silvia Dalponte che ora vive a Fort Lee nel New Jerscy in Nord
America. Alla richiesta dell'Associazione Trentini nel Mondo di spedire alcune
notizie sulla sua vita di emigrante, risponde con questi particolari: «Sono nata
il 10 giugno 1896 a Vigo Lomaso, ove ho vissuto fin dopo la Prima Guerra
mondiale ... In quegli anni ho lavorato duramente nei campi per mancanza di
uomini ... E ho visto l'arrivo delle truppe italiane. Quando entrarono in
Vigo hanno voluto fare la cerimonia di bruciare la bandiera austriaca. La mia
famiglia abitava in piazza e un ufficiale domandò della nostra bandiera, ma mia
madre chiaramente non voleva dargliela. Poi ha dovuto. Quella bandiera, bianca e
nera, l'aveva fatta lei.- un colore era di stoffa di cotone, l'altro di stoffa
di lana. Quando l'hanno incendiate il cotone bruciò, ma la lana no. Gli italiani
erano rabbiosi, ma noi contenti, perché non bruciava ... Dovettero andare a
prendere della benzina».
E un episodio sintomatico che si ripeté
anche altrove, lasciando perplessa, se non delusa, la popolazione. Non era
possibile spazzare via secoli di storia con una scenetta da teatro. Per destare
nella gente sinceri sentimenti di italianità e di fiducia, bisognava far
apprezzare il tricolore in ben altre maniere. Si voleva convincerla che la
guerra era persa? Lo sapeva già ed era disposta a voltare le spalle ad un
doloroso passato se una mano amica l'avesse aiutata a fare primi passi verso un
avvenire di speranza.
Prendendo possesso del paese di Vigo
Lomaso il militare italiano fece appendere alla bacheca comunale il proclama
d'occupazione e l'ordine di consegna di tutte le armi. Gli ufficiali osservarono
con sorpresa che anche le donne anziane scorrevano gli avvisi con occhi attenti.
Uno di loro si avvicinò ad una vecchietta e la invitò a leggere ad voce alta un
paio di righe. La donna lesse correttamente e colse a sua volta con stupore il
meravigliato commento dell'ufficiale: «Ci avevano descritto questi paesi come
terra del sottosviluppo, abitata da analfabeti! ».
Il governo italiano, con i militari e i
nuovi funzionari dell'amministrazione, non pose molta attenzione al pensiero
delle popolazioni trentine, considerate -redente- a parole ma trattate come
abitanti di terre conquistate alla maniera di una colonia africana.
Aveva capito molto di più il generale
Ugo Zaniboni, che nella sua storica opera Secca 1866, la campagna garibaldina
fra l'Adda e il Garda scrisse: «Le popolazioni trentine tirolesi erano amanti
delle tradizioni e di uno stato di tranquillità. Non gradivano novità. Non
subivano noie politiche se non avanzavano rivendicazioni di riscatto nazionale.
Godevano di un'esemplare amministrazione pubblica, esercitata da funzionari
generalmente incorruttibili. Pagavano le «steore» (che in forma dialettale
significa tasse), inferiori a quelle pagate nel vicino regno. Erano povere, ma
non miserabili. Erano religiose, epperciò la chiesa aveva su loro un forte
ascendente. Il clero era serio e rispettabile. Il clero praticava l'insegnamento
elementare ed esercitava l'ufficio di stato civile (godeva dei trattamento di
funzionario dello stato). Il nazionalismo era fortemente sentito dalla classe
media (borghesia liberale) (non tutta naturalmente) specialmente nelle città, ed
andava aumentando verso Sud, dalla classe colta (in gran parte) e da quella
nobile. Da popolazioni educate in tal modo non vi era da attendersi sommovimenti
di massa per uma causa che non era diffusamente sentita. Chi aveva questi
sentimenti era già tra i volontari o in prigione o non aveva la forza e la
volontà di manifestarli. Qualcuno si illuse, non conoscendo il popolo trentino
tirolese, e vi fece affidamento lo stesso Garibaldi, La Marmora, Crispi e,
particolarmente, Mazzini. Ma Garibaldi capì ben presto che non vi era da farvi
assegnamento. Quì in Tirolo, la situazione era ben diversa da quella della «Due
Sicilie»».
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