La lotta contro Napoleone durò quindici
anni, dal 1796 al 1810, e fu la più dolorosa per tutto il Tirolo: per quello
tedesco, che insorse sotto la guida di Andreas Hofer, e per quello italiano che
ebbe un comandante coraggioso ma sfortunato in Bernardino Dal Ponte.
Nel 1796 la Francia rivoluzionarla era
in guerra contro l'Inghilterra e l'Austria e proprio per costringere l'impero
asburgico alla resa e alla pace, con l'obiettivo di conquistare Vienna il
Direttorio di Parigi pianificò un'offensiva oltre il Reno, in Germania, e
un'offensiva in Italia affidate al comando del giovane generale Napoleone
Bonaparte.
Quando l'armata francese si affacciò al
Tirolo, suscitò dappertutto spa- vento e terrore, perché nella tradizione
popolare si manteneva ancora vivo il ricordo del feroce passaggio dell'esercito
del generale Vendóme nel 1702. Dal 1796 al 1810 le vittoriose campagne militari
di Napoleone sconvolsero la terra tirolese percorsa da otto invasioni con
relative occupazioni di suolo ed edifici, gravosissime richieste di
contribuzioni e requisizioni brutali, mal tollerate dalle popolazioni che per
circa quindici anni, con rabbia e tra sofferenze inenarrabile, ad ogni loro
passaggio si opposero ai Francesi e al loro alleati bavaresi, fino alla
definitiva sconfitta del generale.
Secondo i calcoli dei professori Hans
Kramer dell'Università di Inns- bruck e di Hans Magenschab di Vienna in queste
lotte caddero oltre duemilacinquecento tirolesi, mentre i feriti furono
parecchie migliaia. Lo storico Girolamo Andreis di Rovereto (1856) scrive,
invece, di ben quattromila morti e, tra questi, di molte donne che prestavano
servizio quali vivandiere.
La vittima più illustre fu senz'altro
Andreas Hofer (San Leonardo in Passiria, 1767), vero capo carismatico
dell'opposizione popolare alla prepotenza degli invasori, fucilato a Mantova il
20 febbraio 1810 per espresso ordine di Napoleone. Accanto a lui vi sono altre
figure di comandanti i cui nomi sono rimasti nella storia e nella coscienza
collettiva come eroici combattenti per la libertà della propria terra.
Fra questi, nel Tirolo italiano, il
ruolo di maggior rilievo spetta a Bernardino Dal Ponte, anche se nella
storiografia ufficiale e nella pubblicistica del mondo austro-tedesco, per ovvie
ragioni politiche, non incontrerà il favore e sarà presto dimenticato.
Il primo documento che parla di
Bernardino Dal Ponte, celebrato come un difensore della patria tirolese, è uno
scritto di Anton Gassler pubblicato sull'Almanack auf das jahr 1802,
stampato a Vienna. Lo riportiamo nella traduzione italiana.
«Quando, all'inizio del settembre 1796,
la città di Trento fu occupata dal- le truppe francesi al comando di Napoleone
Bonaparte, caddero in mani nemiche quattro difensori della patria tirolese. In
conseguenza di un noto proclama furono buttati in carcere, perché portavano
armi, e furono fucilati davanti alla porta di San Lorenzo alla presenza del
pubblico.
Quest'azione, che nell'intenzione del
comando francese avrebbe dovuto annientare il coraggio dei tirolesi, ebbe
l'effetto contrario. Tutta la nazione tirolese restò inorridita davanti a questo
delitto e i combattenti ardevano dal desiderio di vendicare i loro infelici
compagni. Con queste intenzioni il sergente dei bersaglieri Bernardino Dal
Ponte, giudicariese, e dodici seguaci della compagnia di Trento che si erano
dovuti ritirare nella conca del Primiero, chiesero al loro comandante jakob von
Graff il permesso di poter fare prigionieri. Dopo una marcia di quindici ore
verso la Valsugana, nella fredda notte del 13 ottobre presso Masi di Novaledo
sorpresero un picchetto francese di ventisei uomini accampato insieme alle
sentinelle, attorno a un grande fuoco.
Il Dal Ponte ordinò ai suoi uomini di
sparare tra le fiamme per far schizzare in faccia al nemici carboni accesi,
quindi li assalì con le armi rovesciate, a mo' di randello, uccise otto uomini,
ne ferì altrettanti e cinque li catturò, mentre i rimanenti si salvarono con la
fuga. I prigionieri non subirono alcun maltrattamento, ma furono condotti a
Fiera di Primiero e consegnati al comando della compagnia: «Volevamo dimostrare
- spiegarono i bersaglieri - che noi sappiamo rispettare i diritti umani meglio
dei nostri nemici che così tanto ne parlano».
Il 7 novembre 1796, durante la
conquista di Castel Beseno, il tenente Franz jakob Stecher di Malles, aiutante
del comandante von Graff, uno dei più valorosi ufficiati tirolesi, fu gravemente
ferito. La sua compagnia si trovò disorientata e non poté impedire che fosse
portato via prigioniero. Il Dal Ponte, quando fu informato del fatto, con sette
commilitoni si cacciò arditamente in mezzo alle linee francesi, raggiunse il
tenente ormai agonizzante e lo riportò a spalle tra i suoi. Per questa azione
coraggiosa gli fu assegnata la Medaglia d'Oro.
Negli anni 1799 e 1800, l'intrepido
giovane sali di grado e fu promosso capitano di compagnia e in ogni occasione
diede prova del suo coraggio e del suo amor di patria.
Bernardino Dal Ponte nacque il 24
febbraio 1772 al Castello delle Spine di Vigo Lomaso nelle Giudicarie Esteriori.
Nel 1753, per milletrecentocinquanta fiorini, il maniero era stato ceduto dai
Conti d'Arco alla famiglia Dal Ponte che da generazioni attendeva alla coltura
dei campi e dei prati di proprietà dei nobili.
Il casato di Bernardino contava sette
fratelli e tre sorelle. Aveva uno zio sacerdote, che fu il suo primo e
probabilmente unico maestro.
Nel 1797, a venticinque anni, fu eletto
sindaco della comunità di Lomaso, certamente anche sulla base della fiducia che
si era conquistato durante la resistenza e la lotta in occasione delle due
recenti invasioni dei Francesi. Dapprima trova un'occupazione come «scrivano»,
con funzioni di notalo per acquisti, vendite e permute di terreni; poi si
sistemerà stabilmente alle dipendenze del principato di Trento in qualità di
esattore delle imposte a Tione.
Nell'autunno del 1800, lungo le valli e
sui monti tra il lago di Garda e il fiume Chiese, dilaga la terza invasione
francese guidata dal generale Macdonald. La sua armata, forte di ben ventimila
uomini e ricordata come la «diabolica» per le efferatezza che commise, travolse
ogni resistenza opposta dalle truppe austriache e dalle compagnie valligiane di
bersaglieri. Il capitano Dal Ponte fa la sua parte: in Val Vestino, con soli
trenta uomini, riesce a fermare un grosso reparto francese di duecentocinquanta
soldati e lo costringe alla fuga.
Il 10 agosto 1801 Bernardino si sposò
con una giovane di Fiavè, Barbara Zanini, dalla quale ebbe due figlie. Cambierà
due volte residenza, lasciando Castello delle Spine per Campo Maggiore, per
trasferirsi poi definitivamente, dopo il 1820, a Fiavè, presso i parenti della
moglie.
In questo inizio di secolo profondi
mutamenti sconvolgono gli assetti po- litici del Tirolo. Nel 1802 cessava Il
piurisecolare bonario governo del principe vescovo di Trento e tutto il
distretto, assieme a quello di Bressanone, veniva assegnato dall'onnipotente
Napoleone all'Imperatore d'Austria; dal gennaio 1806 esso sarà dato in possesso
al Re di Baviera che per tre anni operò con drastici ordinamenti, abolendo le
secolari autonomie comunali, imponendo nuove tasse, rendendo obbligatoria
l'odiosa leva militare e trattando i parroci come impiegati di uno stato fondato
su concezioni di stampo illuministico.
Il malumore delle popolazioni crebbe,
montò a dismisura e bastò la notizia che nella primavera del 1809 l'Austria
aveva ripreso le ostilità contro Napoleone perché le sommosse scoppiassero in
ogni valle del Tirolo. Andreas Hofer, capitano di una compagnia di Schützen
della Val Passiria, fu nominato comandante supremo delle truppe popolari di
bersaglieri e divenne il protagonista indiscusso dell'insurrezione.
Al suo appello di formare in ogni
comunità una compagnia di patrioti e di cacciare il nemico franco - bavarese, il
capitano Dal Ponte, che forse era entrato in urto con i fiscali e antipatici
funzionari governativi, organizza immediatamente la rivolta nel Trentino
occidentale e viene nominato comandante di un gruppo di compagnie che rifornisce
di armi strappate ai nemici nel corso di sortite audaci e improvvise nella piana
di Riva del Garda e in Val Lagarina.
Il 5 e 6 luglio Napoleone batte gli
Austriaci a Wagram e il 12 luglio, con l'armistizio di Znaim, impone a Vienna di
ritirare ogni truppa dal Tirolo. Andreas Hofer resta solo con i patrioti e alla
testa dei diciassettemila insorti, il 13 agosto, riconquista Innsbruck, quindi
incarica un suo luogotenente, il meranese Giacomo Torggler di liberare dagli
invasori anche Trento.
Sulla città marciano le compagnie della
Valle di Fiemme e del Primiero; altre arrivano dalla Valle di Non. Il comandante
Dal Ponte giunge a Cadine con le compagnie giudicariesi e mette in fuga i
Francesi che preferiscono abbandonare il capoluogo e ritirarsi verso Rovereto.
Il Magistrato di Trento, tramite i due Consoli, lo invita a entrare in città con
le sue truppe e a mantenervi l'ordine e allo scopo lo nomina governatore
militare e gli procura una divisa da ufficiale. Il Dal Ponte, per garantire la
sicurezza della popolazione, organizza immediatamente una guardia civica,
articolata in sei compagnie di cinquanta uomini ciascuna, e invia rinforzi a
Castel Pietra, in Val Lagarina, per contrastare un eventuale ritorno dei
Francesi.
Nel pomeriggio del 22 agosto arrivano
da Lavis anche le compagnie tedesche del Torggler che pretende dal Magistrato la
custodia delle porte, il totale controllo della città e l'immediata consegna di
quattromila fiorini. Il comportamento e le condizioni imposte dal comandante
misero in grave imbarazzo le autorità municipali alle prese con una pesantissima
situazione finanziaria e irritarono i capitani dei bersaglieri trentini; ma pure
tra gli stessi ufficiali tedeschi, Tónig, Schweiggl e Mohr sorsero rivalità e
invidie, tanto che si arrivò a temere che le diverse fazioni venissero alle
mani.
Per tenere tutti a bada e imporre la
necessaria disciplina con cui poter fronteggiare l'esercito avversario, ci
sarebbe stato bisogno della presenza fisica di Andeas Hofer, ma in quelle
settimane il comandante supremo aveva grossi problemi di governo nel Tirolo del
Nord e preferiva restare a Innsbruck.
Il 24 agosto la Brigata del generale
francese D’Azmayr, che si era rivìrata ad Ala, riprende le ostilità, torna sui
suoi passi, rioccupa Rovereto e minaccia di piombare su Trento. Dal Ponte
concepì allora un piano audace per cogliere alle spalle i Francesi e tagliare
loro la ritirata. Con i suoi uomini attraversò il fiume Adige sotto l'abitato di
Mori e li distribuì sulle alture di Marco; a Serravalle fece scavare una
profonda trincea sulla strada imperiale per disturbare e rallentare il passaggio
dei carriaggi e dell'artiglieria nemica.
Il piano non ottenne i risultati
sperati perché il comandante venne a trovarsi praticamente solo nella
realizzazione di quest'impresa e pur infliggendo rilevanti perdite alla brigata
francese, non riuscì a bloccarla; a Serravalle ebbe però la soddisfazione morale
d'impossessarsi della carrozza personale del generale nemico e come un trofeo la
trascinò a Rovereto. Insegui poi i Francesi fino alla chiusa di Verona, quindi,
potendo disporre di circa venti compagnie, stabilì ad Ala il suo quartier
generale.
Nel frattempo la situazione nella città
di Trento restava sempre precaria e caotica. Andreas Hofer comprese che la
nomina del Torggler non era stata una scelta felice e così, in occasione di una
breve visita a Bolzano il 4 settembre inviò un proclama al «Dilettissimi
tirolesi italiani» per rendere loro noto che designava Giuseppe de Morandel di
Caldaro suo rappresentante, «Comandante legittimo e autorizzato nel Tirolo
meridionale».
Purtroppo anche questa nomina fu poco
fortunata. Morandel non si mosse mai dal suo paese e si limitò a spedire
ordinanze che quasi nessuno rispettava. Solo in ottobre, nel giorni dello
scontro decisivo tra le truppe francesi, che avevano rioccupato Trento, e le
compagnie degli insorti, che dalle colline scendevano per liberare la città,
Hofer incaricò il suo coraggioso aiutante di campo Josef Eisenstecken di
assumere il comando militare del Tirolo meridionale: questi, però, constatò che
la situazione era ormai compromessa, anche perché aveva a che fare con «unverständige
Hauptleute», cioè con capitani irragionevoli, tremendamente gelosi del proprio
potere.
Il 10 ottobre 1809 passò alla storia
tirolese con il nome «der Tag der Schande >>, il giorno della vergogna, perché a
Trento il generale francese Peyri, manovrando abilmente reparti di cavalleria e
d' artiglieria con ottomila uomini travolse e disperse definitivamente
quindicimila insorti.
Qualche settimana prima il Dal Ponte
non aveva risparmiato critiche al comando tedesco nel quale vedeva grosse
carenze di capacità ed energia: i Torrggler, i Tönig,
gli Schweiggl erano gente aliena da gesti risoluti sia per età che per
temperamento e per di più erano divisi da sospetti e rancori profondi. Fu in
questo momento che il bersagliere venuto dal Lomaso, sostenuto da compagnie
fedeli e ben disciplinate, decise di assumere personalmente il comando di tutto
il Tirolo italiano.
Il 16 settembre, da Ala, fece
diffondere un proclama nel quale invitava «Città, borghi, e villaggi del Tirolo
italiano a non riconoscere verun comandante superiore se non lui» e prometteva
ai «cari fedelissimi Tirolesi italiani» di difendere loro e la Santa Religione e
di far rispettare le loro persone con le loro case e le loro sostanze. Nella
storia del Trentino è questa la prima volta che si afferma un'esigenza di difesa
e di amministrazione autonome.
Il proclama del Dal Ponte allarmò
fortemente i comandanti tedeschi che decisero di toglierlo di mezzo con un
tranello: gli comunicarono che loro si sarebbero ritirati sopra Lavis e che
lasciavano a lui la responsabilità della difesa del fronte meridionale e nel
contempo lo informavano che i Francesi stavano per forzare il Passo del Tonale.
La notizia era falsa e ingenuamente,
come riferisce l'Andreis, il coman- dante cadde nella trappola. Con il fratello
attendente e un altro ufficiale si portò a rotta di collo a Trento ma appena
prese alloggio all'albergo Europa fu fatto prigioniero da un picchetto di
Schützen e fu trasferito prima a Caldaro e poi nelle carceri di Innsbruck. Era
il 20 settembre. A nulla valsero le sue proteste di innocenza; arrivò a dire che
si sarebbe lasciato impiccare su una qualsiasi piazza se si fosse trovata una
sola prova dei misfatti di cui veniva accusato. La sua cattura suscitò stupore e
sbigottimento. I suoi ufficiali e le sue compagnie si sciolsero e presero la via
di casa.
Il 25 ottobre le truppe franco -
bavaresi riconquistarono Innsbruck e liberarono il Dal Ponte, però gli imposero
gli arresti domiciliari. Da Milano il Ministero degli Interni del Regno
d'Italia, infatti, lo riteneva «pericoloso se le circostanze gliene dessero
l'occasione».
Da parte austriaca, invece, qualche
anno dopo, nel suoi riguardi fu espresso un giudizio lusinghiero: il commissario
imperiale e primo consigliere politico di Andreas Hofer, il barone josef
Hormayrzu Harlenburg, scrisse che il comandante Dal Ponte fu «der vorzüglichste
an militärischen Einsichten und
Bravour,>>, il migliore per capacità militare e coraggio.
Nel 1815, dopo la caduta di Napoleone,
mentre il Tirolo tornava lentamente alla normalità, il Dal Ponte citò davanti al
tribunale militare coloro che lo avevano tradito e imprigionato. I responsabili
furono condannati e obbligati a versargli un risarcimento di
quattrocentoventicinque fiorini per i danni morali subiti.
Nel 1851 il Tiroler Scbützen - Zeitung
di Innsbruck, nel presentare per la penna del suo direttore Schönherr
la storia di diciassette comandanti del Tirolo meridionale, al nome di
Bernardino Dal Ponte, recava, come sottotitolo, «ein wackerer Welschtiroler», un
coraggioso tirolese italiano.
Nel 1852, quando il re Carlo Luigi
Bonaparte, proclamatosi imperatore dei Francesi parve restaurare la gloria del
grande zio suscitando nuove guerre sul continente europeo, Bernardino Dal Ponte,
ormai avanti negli anni, incontrando il concittadino don Ignazio Carli,
esclamerà: «Codesti Francesi sono sempre li a volere la gherre, la gherre! Le
dico lo, signore, che se avessi soltanto vent'anni di meno, mi sentirei il
fegato di misurarmi un'altra volta con quegli stomacosi Franciosi che non
lasciano in pace il mondo». E il sacerdote, divenuto decano di Tione, annoterà:
«Il capitano Dal Ponte da Castel Spine, ardito guerillatore contro i Francesi da
principio di questo secolo. Visse assai, mori il 1860 a Flavé con esempio
edificante».
Non ci è pervenuto il ritratto fisico
della persona del Dal Ponte, però sulla base di quanto fece e scrisse e di
quanto di lui è stato detto, è possibile abbozzare il ritratto morale.
Fu un valligiano combattente, capace di
slancio e di ardimento quando si trattava di intraprendere un'operazione armata;
non fu un politico, perché in questo campo non era preparato, ma da uomo ben
radicato in mezzo alla sua gente, a capo di un movimento di resistenza
schiettamente popolare che si organizzava per la difesa di un avito mondo di
valori religiosi, morali e familiari, operò in base al buon senso, con la
fierezza del montanaro libero che difende ciò che è suo.
Per questo suo orgoglio e per questa
sua determinazione, senza fare violenza alla verità dei fatti, si possono
legittimamente accettare a suo riguardo e a riguardo delle popolazioni che
contrastarono i Francesi, le entusiastiche espressioni che lo storico Carlo
Botta (1824) espose nella sua Storia d'Italia dal 1789 al 1814: «L’insurrezione
tirolese fu una guerra singolare e spaventosa, nella quale i fanciulli fecero da
adulti, i vecchi da giovani, le femmine da uomini, gli uomini da eroi, né mai
più onorevole e giusta causa fu difesa da più unanime e forte consenso». |