Il tentativo fatto dai gendarmi di
catturare sua moglie e i I figlio fecero comprendere a Hofer quali fossero le
reali intenzioni dei francesi, che nel frattempo avevano posto sul suo capo una
grossa taglia di 1500 fiorini, e lo convinsero ancor di più a mantenersi nella
latitanza.
Intanto da Varasdin in Croazia, dove era riparato con altri
insorti, il maggiore Martin Teimer, uno dei suoi luogotenenti, era riuscito a
fargli pervenire una lettera dove gli comunicava di essere in possesso di una
parte delle ingenti somme di denaro che l'Inghilterra aveva inviato a sostegno
della lotta dei Tirolesi contro Napoleone e che ora voleva mettere a
disposizione di Hofer che doveva solo indicargli il modo più sicuro per
fargliele avere. Questa notizia aveva ridato nuove speranze a Hofer che mandò a
sua volta il capitano Antonio Wild, un suo uomo di fiducia, a Vienna per
riferire verbalmente un suo nuovo appello all'imperatore perché non abbandonasse
il Tirolo e il suo comandante generale. L'emissario giunse a Vienna il 28
dicembre e venne ricevuto il giorno stesso dall' imperatore che gli consegnò una
sua lettera personale per Hofer in cui gli confermava di aver concluso il
trattato di pace e lo invitava a emigrare in Austria e per aiutarlo nella sua
fuga affidava al capitano una lettera di cambio di 11000 fiorini.
Purtroppo i Francesi vennero informati della missione del cap. Wild
che non riuscì a raggiungere Hofer che non poté ricevere l'aiuto in denaro
inviatogli dall' imperatore ma solo la sua lettera che, in modo fortunoso, gli
fu comunque consegnata alla fine di gennaio.
A due soli giorni dalla sua cattura Hofer inviò all'arciduca
Giovanni un'ultima commovente lettera che rivela tutta la lacerazione del suo
animo diviso tra la sua incrollabile fedeltà alla casa regnante e il peso della
responsabilità per le sofferenze inflitte al suo popolo a causa della rivolta
che egli aveva guidato in nome del suo sovrano.
Un giorno salì sull'alpe di Pfandler anche un certo Raffl, un
valligiano che possedeva anch'egli una vecchia baita diroccata lì vicino, il
quale insospettito dal fumo che usciva dal camino della baracca, che i suoi
occupanti erano costretti a mantenere sempre acceso per difendersi dal freddo,
con un pretesto si fece aprire la porta e lì fece la scoperta di Hofer che quasi
tutti credevano già rifugiato in Austria. Quest'uomo, che godeva di una pessima
fama tra gli abitanti del posto, dopo qualche giorno, attratto dal ricco
compenso rivelò la sua scoperta ai Francesi, che, guidati da lui stesso nella
notte tra il 27 e il 28 gennaio, si inerpicarono con una grossa truppa di 500
uomini lungo i sentieri ripidi e nevosi della montagna e alle prime ore
dell'alba gli uomini del capitano Renouard, un centinaio di soldati e gendarmi
francesi e italiani, riuscirono a raggiungere e circondare il rifugio di Hofer.
Svegliati dalle voci dei soldati gli occupanti della baita si
resero subito conto di essere in trappola e vista inutile ogni possibilità di
difesa Hofer aprì la porta e chiese se qualcuno dei soldati capisse il tedesco,
avuta risposta positiva disse:
"Siete venuti per catturare me, su eccomi, fate di me ciò che volete, perché
io sono il colpevole ma chiedo grazia per mia moglie, mio figlio e per questo
giovane (indicando Sweth) perché essi sono veramente innocenti!".
Senza opporre resistenza Hofer si consegnò ai gendarmi che lo
legarono con le braccia dietro alla schiena e lo immobilizzarono mettendogli un
laccio intorno al collo dopodiché cominciarono a infierire su di lui
strappandogli i capelli e i peli della barba dicendo di volere così un ricordo
della sua cattura. Estremamente brutale fu il trattamento riservato anche agli
altri prigionieri ai quali non fu consentito di vestirsi e così semi nudi e a
piedi scalzi furono avviati a forza di spintoni e di insulti giù verso valle
lungo impervi sentieri ghiacciati lasciando dietro di sé una traccia di sangue.
Come conseguenza dei maltrattamenti subìti il giovane Hofer, allora quindicenne,
ebbe congelati entrambi gli alluci dei piedi per cui rimase c1audicante per il
resto della sua vita.
Condotto a Merano Hofer subì un primo interrogatorio da parte del
generale Huard nella locanda "Zum Grafen von Meran", ancor oggi esistente, al
quale espose quella che sarebbe stata d'ora in poi la sua linea di difesa ovvero
di aver sì guidato l'insurrezione popolare per conto del suo imperatore, ma di
averla proseguita anche negli ultimi tempi, dopo la conclusione del trattato di
pace, solo perché costretto dalle minacce dei suoi compagni.
I generali francesi Baraguey d'Hilliers e Drouet d'Erlon si
affrettarono a comunicare la notizia dell'avvenuta cattura di Hofer al Viceré
Eugenio che, da Parigi, dove si trovava in quel momento, diede l'ordine che egli
fosse condotto a Mantova dove già si trovavano prigionieri molti altri insorti
Tirolesi.
A partire da Merano il trattamento che gli ufficiali francesi
riservarono a Hofer fu molto cavalleresco e cortese; a Bolzano lo stesso
Baraguey venne a visitarlo nella sua prigione di Sant' Afra e, deplorando il
trattamento inumano dei gendarmi durante la sua cattura, ordinò che la moglie e
il figlio fossero subito rimessi in liberà dichiarando che i francesi non
facevano la guerra alle donne e ai bambini. Un altro alto ufficiale, il gen.
Mollard, venne a visitarlo nella sua cella e gli chiese se desiderasse qualcosa
al che Hofer disse che gli sarebbe piaciuto un po' di tabacco da fiuto. Il
generale gliene procurò ben due libbre della miglior qualità e in più gli fece
dono di una bella tabacchi era d'argento. Il gen. Baraguey diede l'ordine di
condurre Hofer e Sweth a Mantova accompagnandolo con una raccomandazione al
comandante della fortezza gen. Bisson di trattare con riguardo il prigioniero e
il suo compagno.
Il convoglio, scortato da un battaglione di fanteria francese, fece
sosta a Egna dove Hofer poté parlare con un suo vecchio un amico, Vincenzo von
Pühler, lo stesso al quale egli indirizzerà qualche giorno più tardi l'ultima
sua lettera prima dell'esecuzione e che gli diede un libro di preghiera e una
somma di denaro in prestito.
Dopo altre soste a Trento e Rovereto, Hofer e la sua scorta
giunsero ad Ala dove, stando alla testimonianza del Bresciani, gli si sarebbe
presentata la possibilità di fuggire quando durante la notte, per le esalazioni
di una stufa, le guardie avevano perduto i sensi ma egli anziché approfittare
della situazione svegliò il resto del corpo di guardia salvando i soldati dalla
morte per asfissia.
Ammesso pure che egli fosse riuscito a sfuggire ai suoi carcerieri
c'è da chiedersi se gli avrebbe poi potuto proseguire la fuga riparando magari
in Svizzera o in Austria, ma pare proprio che Hofer non fosse nello stato
d'animo di intraprendere una tale impresa; tutti coloro che lo videro in quei
giorni ce lo descrivono infatti come un personaggio avvilito e rassegnato al
proprio destino, per di più il suo compagno Sweth soffriva ancora di un
principio di congelamento ai piedi per cui ad ogni tappa doveva essere
trasportato in carcere e curato.
Dopo altre soste a Verona, Peschiera e a Valeggio i prigionieri
giunsero in serata a Mantova il 5 febbraio del 1810 lungo l'antica strada
lastricata della quale resta ancor oggi un piccolo tratto e, forse, ebbe la
possibilità, prima di passare sotto l'arco di Porta Giulia, di gettare uno
sguardo al profilo della città sull'altro lato del lago. Il Bisson prese in
consegna i prigionieri che furono condotti nella loro cella, la numero 1 al
primo piano della Tane del Vaso a Cittadella. |